Riscatto anni di laurea: gli effetti della riforma

La riforma delle pensioni ha toccato anche il riscatto della laurea. Un’interessante articolo su Corriere.it, ci spiega che potrà staccare prima solo chi si è laureato presto. Invece sembra che dal punto di vista finanziario, con quest’operazione ci sia sempre da guadagnare. L’allungamento della vita lavorativa previsto dalla riforma Fornero cambia lo scenario per chi vuole riscattare gli anni di laurea (calcola il costo del riscatto).
Un trentenne che si è laureato in corso, e ha iniziato a lavorare a ventidue, per esempio, potrà staccare tre anni e mezzo prima, a 65 anni e mezzo anziché a 69. Se invece ha cominciato a venticinque, come è più probabile, il riscatto non gli permetterà di anticipare il pensionamento. Un quarantenne e un cinquantenne potranno smettere 4 anni e sei mesi prima (sempre se hanno iniziato a lavorare subito dopo il diploma). Per i lavoratori autonomi e per le donne cambiano i numeri, ma il quadro complessivo è analogo.

Tabella età laurea

fonte: Corriere.it


 
Gli obiettivi
Le elaborazioni di Progetica, società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria, mostrano come sia cambiato radicalmente il bilancio di convenienza del riscatto che, prima della riforma, consentiva in numerosi casi di anticipare il pensionamento.
«Bisogna chiarirsi bene quale obiettivo ci si propone di raggiungere con quest’operazione – spiega Andrea Carbone, partner di Progetica -. Se andare in pensione prima, oppure avere un vitalizio più alto. Per quanto riguarda il primo aspetto, la possibilità di utilizzare il riscatto per staccare prima è stata notevolmente limitata dalla riforma».
Il requisito di vecchiaia – a regime 66 anni per uomini e donne, aumentati ogni due anni in base alle statistiche sulla vita media – prevale spesso su quello contributivo: 42 anni per gli uomini e 41 per le donne, che vengono anch’essi incrementati in base all’evoluzione della vita media.
«Quando il riscatto permette di anticipare il pensionamento, grazie al minor numero di adeguamenti biennali applicati ai requisiti, si può verificare una sorta di effetto leva – spiega Carbone -. Un quarantenne che ha cominciato a ventidue anni e riscatta quattro anni di laurea, per esempio, potrà andare in pensione quattro anni e mezzo prima».
Investimento
Il discorso è leggermente diverso per quanto riguarda l’aspetto finanziario: le elaborazioni di Progetica indicano che il riscatto è sempre conveniente. «Con quest’operazione si avrebbe in tutti i casi un aumento della ricchezza a vita media. Questo valore corrisponde all’importo annuale del vitalizio moltiplicato per il periodo in cui s’ipotizza che possa venire incassato in base alle aspettative di vita – spiega Carbone -. Per chi anticipa il pensionamento solitamente diminuisce il tasso di copertura, cioè il rapporto fra pensione e ultima retribuzione, ma l’assegno sarà percepita per più tempo».
L’aumento varia in funzione dell’età, del genere e della categoria professionale. Così, per esempio, per un dipendente quarantenne con inizio della contribuzione a venticinque anni e riscatto di quattro anni di laurea, aumenterà del 12% la somma di tutti i vitalizi incassati dal momento del pensionamento sino alla vita media attesa. Per un autonomo della stessa età e anzianità contributiva, invece, l’incremento sarà solo del 6%. Ricordiamo anche che i versamenti sono interamente deducibili dal reddito e possono essere rateizzati in dieci anni.
Scelte
«Chi vuole migliorare il proprio tenore di vita al momento del pensionamento – dice Carbone – dovrebbe chiedersi piuttosto se sia efficiente versare ulteriori contributi nello stesso sistema, quello dell’Inps o degli altri enti di previdenza obbligatoria.
In alternativa, per diversificare, si potrebbero utilizzare altri strumenti, come i fondi pensione o altre forme assicurative, oppure investimenti finanziari o immobiliari».
Le simulazioni di Progetica considerano per il Pil un incremento annuo dello 0,4% (superiore quindi a quello realizzato negli ultimi anni dall’Azienda Italia) e per le retribuzioni dell’1 per cento in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, sino ad arrivare a un reddito finale pari a 36 mila euro.
(fonte: Corriere.it)